TERRITORIO
di Carlo Amati
Carlo Amati, già̀ tra i 100 di Marcheselli, è un artista affermato, non nuovo al pubblico grazie ad una vita passata tra linee e geometrie architettoniche sia nel proprio studio di progettazione che su tela. In occasione della mostra alla Chaos Art Gallery ci presenta però un percorso quasi antologico che ci vede al suo fianco, dai primi dipinti ai più̀ recenti, come se passeggiassimo assieme a lui lungo un argine, ascoltando i suoi ricordi farsi vividi tra una pozzanghera, un riflesso d’acqua ed un accenno di vento che sibila tra le betulle. Eccolo, il territorio, che si svela tela dopo tela: inizialmente è il luogo d’appartenenza, degli attimi vissuti che si cristallizzano come frammenti sospesi. Dall’umidità del fiume alle case di campagna, le semplici visioni di bambino, i tronchi che cadono sono la partenza di un viaggio che ci porta in seconda istanza sulla strada: grazie all’occhio attento, alla profondità̀ d’animo e alla grazia della mano pittorica di Amati ci fermiamo ad osservare sia gli ampi muri delle dimore sia i piccoli particolari come le Madonne d’angolo o le geometrie delle vetrate nelle stalle. Rimaniamo colpiti dall’apparente semplicità̀ d’esecuzione, dal rigore dell’impianto figurativo che esalta splendide armonie tra terreno, caseggiati e cielo, così evidenti eppure per noi impossibili da notare senza la guida dell’artista. Un elemento compare sovente: portoni e usci sono il limite tra ciò̀ che si conosce e ciò̀ che rimane celato, soglia tra mondo esteriore ed interiore, pubblico ed intimo. Indagati prima a distanza, poi sempre più̀ vicini, rappresentano un filo rosso nell’opera dell’artista, perciò̀ un’importante chiave di lettura: simbolo del passaggio per antonomasia, diventano qui emblematica apertura nella memoria. Si veda quella porta della cameretta d’un tempo: il legno è ruvido, possente, e l’attenzione si focalizza su due fotografie d’epoca, inserite come collage. La prima presenta uomini in uniforme (alla sinistra, il padre dell’artista); l’altra, donne in fila ai lati di una scalinata (ed ancora sulla sinistra, per una curiosa coincidenza, troviamo la madre). Ricordo, segno e soglia diventano un unicum di storia personale e condivisa ad un tempo.
Il territorio però non è solo luogo geografico: l’etimologia ci riporta alla radice della parola, quella terra che qui viene intesa come stratificazione, modus operandi che si applica alla composizione per immagini distinte dei quadri ma anche (e soprattutto) alla tecnica. Troviamo sempre diversi piani, appunto strati, costituiti dalle sole pennellate dell’artista: così abbiamo quelle strutturali sicure, precise, sintetiche che riescono con pochi segni a creare ambiente, atmosfera e dettagli. Sovrapposte ad esse, abbiamo quelle più̀ gravi, materiche, mosse che testimoniano la maestria dell’artista, la variegata capacità tecnica e soprattutto conquistano e disorientano la nostra sensibilità̀, ora irretita da profondità̀ diverse. Il tempo entra qui nell’opera in un’accezione originalissima: non solo gesto, non solo ricordo, ma composizione per gradi di memoria, attese e riletture della stessa tela sia fisiche che mentali.
Legni, intonaci, paesaggi, personaggi sacri, finanche prati diventano così calde allusioni al tempo del territorio e della persona. Il lavoro artistico di Amati (continuo, instancabile, quieto) è teatro e specchio del silenzioso dialogo possibile tra il proprio vissuto e quello dell’osservatore, tutto giocato sui toni avvolgenti della terra, delle ombre e dell’impalpabile foschia che si fanno sempre più̀ astratti ma non meno concreti nelle opere recenti.
Giulia Muratori, 2023