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Venerdì, 25 Ottobre 2019 20:20

PARMA CULTURA AMICA

Carlo GIANINI

Il “pantheon” dell’anima di Carlo Gianini è preludio perfetto all’anno di Parma “capitale della cultura”. E’ un omaggio personalissimo e sentito ai grandi protagonisti della città dal Dopoguerra ai giorni nostri. Il filo rosso che li unisce è da una parte la cultura di cui sono stati egregi rappresentanti e dall’altra l’amicizia con l’artista. Da ciò ne deriva il titolo “Parma cultura amica”. Con questa mostra di ritratti “parmigiani”, il curatore Marzio Dall’Acqua e il pittore Gianini fanno un’operazione di sostanza per rievocare il passato come essenziale veicolo di valori quali il sodalizio intellettuale, il vitalismo creativo, il dibattito e il confronto sapiente, vissuti dall’autore in prima persona, come ci racconta nella sua breve autobiografia.
Così, se Parma sarà incoronata capitale della cultura nel 2020, deve tale riconoscimento anche ad alcuni personaggi che qui appaiono immortalati. Sono tutti quelli che Gianini ha incontrato, ha apprezzato, condividendone un pezzo di strada oppure solo sogni, ideali, suggestioni artistiche e sperimentazioni. La storia passa sui volti e nei volti è impresso il racconto umano. Se è vero che le opere contano più dell’aspetto di chi le ha realizzate, tuttavia il rintocco dello spirito trascorre in questi ritratti e il pennello coglie dell’uno la fierezza, dell’altro il carattere schivo, oppure l’ironia, la modestia, l’impeto, la passione, la concentrazione. Di ognuno di essi, rigorosamente ordinati nel catalogo in ordine alfabetico, quindi dalla Lydia Alfonsi a Bruno Zoni, passando per Barilla, i Barilli, i Bertolucci, i Ferrari, Mattioli, Mossini, Ricci, Scrollavezza, Torelli, Toscanini e tanti altri, Gianini ha colto la caratteristica più spiccata, il tratto che li ha distinti, ha interpretato il codice della loro anima in uno sguardo, in una piega del viso.
L’esposizione è un omaggio al cuore di Parma, l’album dei ricordi di questa piccola capitale.
Per andare avanti bisogna sapere chi siamo. Per sapere chi siamo bisogna ricordare chi siamo stati. La cultura che ci fa crescere e ci fa respirare fortunatamente ancora oltre la coltre soffocante dell’indifferenza e della superficialità, è fatta da uomini, è fatta di uomini, di storie, di vite. E di volti. Tutti quelli della cultura amica di Gianini certo. Ora anche un po’ amica nostra.

 Manuela Bartolotti

 
Carlo Gianini è nato a Parma il 9 giugno 1943. Ha frequentato l’Istituto d’Arte Paolo Toschi, dove è stato allievo di Latino Barilli. Ha scoperto giovanissimo la sua vocazione artistica, disegnando già a 4 anni sui marciapiedi con il carbone della stufa a legna. Terminate le scuole dell’obbligo, l’esperienza del Toschi ed un corso serale di disegno sotto la guida del maestro prof. Luigi Casalini, cominciò a dedicare il suo tempo libero esclusivamente alla pittura, studiando l’arte del verismo attraverso i libri e le riproduzioni fotografiche e guardando i grandi maestri del passato. Conobbe il pittore Alberto Valeo col quale nacque un’amicizia importante e un sodalizio artistico. Nel suo studio ebbe modo d’incontrare uomini di grande cultura come Bruno Zoni, Claudio Spattini, Silvano De Pietri, Tiziano Marcheselli, Arnaldo Spagnoli. E qui trovò anche il pittore Federico Belicchi, col quale condivise viaggi in Italia e all’estero a visitare musei e gallerie d’arte, oltre l’identica passione per il verismo, la figura e il ritratto. Nell’ottobre del 1981 nelle “Stanze di San Paolo”, organizzata dall’assessorato alle attività culturali del Comune di Parma e con presentazione in catalogo proprio di Belicchi, realizzò la prima mostra personale esponendo una trentina di opere a olio: ritratti, paesaggi e nature morte. Seguirono altre personali, nella Rocca di San Secondo, allestita dal Comune, nella Sala di Arte e Cultura di Neviano degli Arduini. Ha partecipato a diverse collettive a Salsomaggiore, Coenzo e Modena. Successivamente, nel 1995, ha trasferito lo studio in piazzale Bertozzi.
Dopo una lunga assenza dalla gallerie d’arte, nel novembre del 2014, alla Galleria Sant’Andrea di Parma, a cura di Marzio Dall’Acqua, in una personale, ha presentato una quarantina di opere a olio raffiguranti alcuni paesaggi cittadini e ritratti di personaggi più o meno noti.
Nel maggio 2015, promossa dall’amica burattinaia Daniela Ferrari e sempre a cura di Marzio Dall’Acqua, nel Castello dei Burattini, nella mostra “Il cerchio magico dei Ferrari Burattinai”, in concomitanza con la quarta edizione di “Maschere a Parma” e in omaggio alla dinastia dei Ferrari, ha presentato cinque tavole dipinte ad olio con i ritratti di Italo, Giordano, Luciano e Gimmi.
Contemporaneamente al Palazzo Ducale di Colorno, sempre in parallelo a quella manifestazione nazionale, nella mostra “Maschera: formazione della coscienza di sé”, ha preso parte a una collettiva in onore delle Maschere Italiana insieme ad alcuni dei maggiori artisti attivi a Parma.
Venerdì, 22 Febbraio 2019 20:20

Voli fantastici

“E se smettesse di sognare di te, dove credi che saresti?”.
“Dove sono ora, naturalmente”.
“Niente affatto. Non saresti in nessun luogo.
Perché tu sei soltanto un qualche cosa dentro il suo sogno.”
(Lewis Carrol)

Sogni, voli, ascese, una sfida continua. Ed energia che s’esprime in creazione artistica, oltre ad incanalarsi e trasferirsi nei segni terapeutici del Reiki che sia Adriano Pezzoni (il maestro), sia Nicola Dall’Asta (allievo) praticano. L’incontro tra loro è stato nell’approccio a questo metodo curativo orientale sempre più diffuso, ma poi l’amicizia si è “estesa” all’arte che entrambi perseguono con risultati eccellenti.
Sono diversi, ma hanno un fil rouge fantastico, onirico che li lega. Pezzoni è proteiforme, imprevedibile da sempre, passando da figurativo a informale, da espressionista astratto a caricaturista, da disegnatore abilissimo a emozionante colorista. Senza che nemmeno se ne renda conto, quasi come in una trance sciamanica, pare farsi condurre da Munch, Pollock, Music, intercettandone lo spirito, talvolta lo stile, ma mantenendo l’originalità, la firma d’esuberanza gioiosa, dell’ incontenibile sbocciare energetico suo proprio. Tutto con lui può diventare arte e portarci via. Tra le numerose attività, è stato anche paracadutista nell’esercito, ma nella sua pittura si è senza paracadute di forme e di ragione, perchè rapisce in voli alati tra magici arcobaleni interiori, in ascese e discese di pure emozioni.
Ugualmente Dall’Asta insegue visioni combinando collages con leggerezza e ironia. Il suo è un linguaggio d’associazioni simboliche, giocose sovrapposizioni che formano composizioni articolate come versi poetici a susseguirsi schiudendo porte e porte nel labirinto dei pensieri, fino a sconfinare nei territori del fantastico e del sogno. Entrare nella mostra di Pezzoni e Dall’Asta è introdursi nel mondo inaspettato, sorprendente di una fiaba surreale, su un percorso di sensazioni e suggestioni dentro e fuori di noi. Si va oltre la superficie, oltre lo specchio. Proprio come in Alice nel Paese delle Meraviglie del geniale Lewis Carrol, dove c’è il famoso indovinello irrisolvibile del Cappellaio Matto: “Cos’hanno in comune il corvo e lo scrittoio?”. Allora “Cos’hanno in comune Pezzoni e Dall’Asta?”.
Forse a volte – soprattutto nell’arte - la risposta alla domanda è la domanda stessa. E continuare a chiedere è continuare a vivere. A cercare, a cercarsi. Instancabilmente. Farsi energia e incantare. Il viaggio non comincia e non finisce. Il viaggio siamo noi. Dentro al grande sogno dell’esistenza.

 Manuela Bartolotti

Adriano Pezzoni è nato a Vigatto nel 1938. Vive e dipinge a Parma. Ha seguito gli studi presso l’Accademia delle belle arti di Bologna e a soli 20 anni ha ottenuto il 1° premio ad un concorso nazionale under ’30 a Catania (1958).
A partire dagli anni ’70 ha iniziato a partecipare a collettive a fianco di amici artisti parmigiani come Proferio Grossi, Sergio Sergi, Nando Negri e Claudio Spattini, Nel ’77, con la galleria Tasso di Bergamo, ha esposto a fianco di Virgilio Guidi, Trento Longaretti, Jules Maidoff. Il maestro e amico Carlo Mattioli che lo ha sempre incoraggiato e sostenuto, ha presentato una sua personale alla galleria Giordani di Parma nel 1985. Ha realizzato loghi sportivi e negli ultimi anni ha partecipato a diverse collettive (Collecchio, Villa Malenchini, Palazzo Giordani, Felino).
Il prossimo appuntamento è per la biennale di Roma del 2020.

Nicola Dall'Asta è nato a Parma nel 1974. Diplomato al Liceo Scientifico Marconi ha frequentato il corso in Conservazione dei Beni Culturali presso l'Università di Parma e il Conservatorio "A. Boito" di Parma nella classe di tromba. Appassionato di musica e fotografia, da alcuni anni si dedica al collage, forma artistica che meglio interpreta la sua personalità creativa, ludica e sognatrice. L'incontro con Adriano Pezzoni, come maestro Reiki, lo ha spinto a prendere consapevolezza e fiducia dei propri mezzi espressivi, invogliandolo a mostrare in pubblico le proprie opere. Ha recentemente esposto al Circolo Giovane Italia di Parma e alla Sala civica di Felino.

 

Giovedì, 30 Maggio 2019 20:20

Intrecci d'arte e poesia

 La pittura è poesia silenziosa,
e la poesia è pittura che parla.
(Simonide)

In che periodo storico dell’arte ci troviamo?
Porsi questa domanda è importante per comprendere la grande fase di cambiamento nella quale siamo immersi. Mai come in questo momento l’arte s’è prestata in aiuto ad un pianeta sofferente, che vede nell’essere umano l’artefice di questo scempio e di questo totale distacco della natura.
Carlo Mezzi fa della natura il suo tema predominante, in maniera tale da sembrare appartenente ad un’altra età.
La persona, prima dell’artista, rivela d’essere legata ai valori essenziali, a ciò che è realmente necessario al nostro benessere primigenio. Questo traspare nelle sue opere, dove la natura incontaminata ed esplosiva nei suoi colori crea effetti di sinestesia, evocata dai profumi tipici del periodo della fioritura. Il ruolo terapeutico dei profumi e dei colori di un campo fiorito primaverile è in grado di trasportare l’essere umano nello stato di centratura, di beato rilassamento, di percezione dello scorrere naturale degli eventi. E’ una coerenza ormai quasi sconosciuta, attitudine che la società ha voluto strappare dal dominio dell’essere umano, addomesticandolo.
Qui ritroviamo invece la perduta armonia tra uomo e ambiente, la risonanza come amplificazione di sane abitudini e la libertà d’espressione come realizzazione del sé.
Mezzi, magistrale dispensatore del “violetto”, colore caro alla città di Parma, rende così anche omaggio alla figura della donna inserendola in quasi tutte le sue opere, come naturale commistione e armonica mescolanza tra i fiori, evitando volutamente di farla prevalere e rendendola “fiore tra fiori”. Le sue opere, già apprezzate a Londra, adesso vengono a portare questi “intrecci d’arte e poesia” anche alla Chaos Art Gallery di Parma.

Munificentia Artis

Carlo Mezzi è nato nel 1938 a Parma, dove tutt'ora risiede e lavora nel suo studio di via Maccolini. Ha realizzato varie mostre collettive e personali, ricevendo validi apprezzamenti da pubblico e critica.
La passione per il disegno e la pittura è iniziata in lui fin da bambino. Autodidatta, si dedica all'arte pittorica con uno stile impressionista che richiama in particolare le vibrazioni cromatiche e luminose di Claude Monet.
I suoi lavori vengono trasportati sulla tela dipingendo direttamente sul posto, en plein air e sono prevalentemente paesaggi, marine, parchi, fiori e ritratti. La natura, sempre serena, rigogliosa, è tema ricorrente insieme alla figura femminile, dalla grazia botticelliana e tutt’uno con la bellezza del creato. Trasferisce sulla tela la poesia silenziosa del linguaggio dei fiori, della brezza, del sole, della gioia di vivere. La sua naturalezza emoziona come emoziona il canto di un uccello o il profumo della primavera.

Manuela Bartolotti

Sabato, 08 Giugno 2019 20:20

Inkpromptus

 

Massimo Moretti, compositore scopertosi artista visivo in una folgorazione improvvisa, genera d’impulso, in uno stato quasi di trance e quello che ne esce è musica, moto interiore, gesto che condensa in immagini potentissime interno ed esterno. Lui è tutto lì, in quell’inchiostro distribuito freneticamente con un contagocce sul foglio bianco per un tempo brevissimo, in preda al rapimento creativo. Quell’esserci appassionato, incontrollato risuona dentro di noi e prima ancora di conoscere, sentiamo, prima ancora di comprendere siamo sedotti. Come nell’amore.

 Manuela Bartolotti                      

Massimo Moretti è un compositore italiano.
Ha studiato pianoforte, composizione, strumentazione per banda e musica da film presso il conservatorio “Arrigo Boito” di Parma.
E’ autore di musica per pianoforte, da camera e per orchestra. Nel 2007 ha fondato la “Maxmoremusic”. Da molti anni scrive musica “ad-hoc” per importanti marchi nazionali e internazionali. Non ha mai disegnato in tutta la sua vita e mai aveva pensato di farlo. Recentemente, però, è sopraggiunto un inaspettato quanto incontenibile desiderio di liberare energie inespresse fino ad allora servendosi di un linguaggio extra-musicale. Attraverso un gesto repentino, frenetico, istintivo, naturale ha cominciato a realizzare questi Inkpromptus. Proprio per il carattere di assoluta improvvisazione e per un facile parallelismo musicale, deriva il nome dato a questa raccolta di disegni e all’intero progetto.

Venerdì, 10 Maggio 2019 20:20

Cieli quotidiani

Sedendo e mirando…
Infiniti spazi… e sovrumani silenzi
(da “L’infinito” di Giacomo Leopardi)

I cieli non sono tutti uguali. Hanno espressioni, forme, evoluzioni, persino lingue diverse. A volte si sciolgono in blu senza fine, altre volte in onde di nuvole, in giravolte di luci e rincorse di ombre, oppure sono sconvolti dal vento, confusi col mare, abbracciati alla terra. I cieli raccolgono i drammi degli uomini, i fumi venefici delle guerre, turbini e tramonti incendiati di dolore oppure vaghe incertezze di nebbie, albe variegate di grazia, quiete di contemplazioni, poesia e pace nell’armonia della natura.
Paolo Basevi omaggia sempre il cielo nelle sue opere. Non è però come nel celebre romanzo “E le stelle stanno a guardare” di Cronin, dove dall’alto s’osserva impassibili l’umana miseria, ma piuttosto il cielo pascoliano piangente di stelle, quello che individua il misterioso legame tra alto e basso, il tacito, consolatorio accordo tra sopra e sotto. Questa sensibilissima intuizione gli consente persino d’interpretare le notizie, le parole in lingue sconosciute rileggendole nelle evoluzioni del cielo e conseguentemente di tradurre il quotidiano attraverso l’eterno, il finito attraverso l’infinito.
Se infatti quanto sta sulla terra è fatto di cose, rese da lui con sovrapposizioni di materiali (carta, stoffa, ritagli di giornale, sabbia, vetro) oppure di riflessi, apparenze, vanità, tanto concrete quanto effimere nella loro temporaneità, quello che sta in cielo, pur parendo ben più evanescente, fuggevole, volubile, non ha in realtà mai fine. C’è indubbiamente una forte componente romantica in Basevi, che ha rivisto la sua passione per le marine tempestose del fiammingo Pieter Mulier, portandola verso la tensione appassionata alla William Turner e alla Caspar Friedrich fino ad un abbandono “nell’immensità” di leopardiana memoria. Ecco dunque un Romanticismo che guarda in avanti, Crepuscolarismo che cede al ricordo mentre, nelle opere più essenziali, più spinte all’informale, si va verso un ossimorico presente assente, pieno di vuoto e di sgomento, tale da ricordarci il desolato silenzio di certi paesaggi di Anselm Kiefer. Tuttavia, la terra cede spazio al cielo e Basevi sfugge all’oppressione dell’hic et nunc con orizzonti bassi e cieli altissimi, sotto i quali, le cose, le opere, i giorni e soprattutto le parole, in tutte le lingue, galleggiano, sedimenti di quotidiana esistenza, stralci che trovano risposta, scampo e soluzione nel sopra infinito. Il cielo è da sempre anche manifestazione di Dio. Ed è la lingua dell’eterno, dell’anima.
Quello che non possono le lettere, gli oggetti, le azioni, può l’arte, andando oltre la storia nei suoi orrori ed errori, oltre attimi relitti a inseguire sogni, a sfogliare i cieli. Quotidiani.

 Manuela Bartolotti                      

Paolo Basevi, medico e artista, ha sempre dipinto e conta numerose mostre collettive e personali,
tra le quali si ricordano in particolare quelle allo Spazio Tadini di Milano nel 2010 e nel 2013 (En Fahren e In dies), la partecipazione alla Triennale di Milano nel 2014, la personale a Londra nel 2015 e negli ultimi anni la Biennale di Roma (2016), la collettiva a Palazzo Bentivoglio di Gualtieri (2016) e l’ultima personale a Villa Soragna a Collecchio (2017) dedicata a Pieter Mulier. Hanno scritto di lui Tiziano Marcheselli, Angelo Scivoletto, Melina Scalise, Sandro Parmiggiani, Francesco Tadini, Elena Gollini, Manuela Bartolotti. 

Venerdì, 05 Aprile 2019 20:20

Il quinto elemento

Luana De Giorgio, Eugenia Giusti, Loredana Orlandini, Maria Grazia Passini, Stefano Tragni

Mercoledì, 01 Giugno 2022 20:23

IL COLORE DEI SOGNI

IL COLORE DEI SOGNI
di Valter Berni 

“Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato”. Così scriveva Edgar Allan Poe.
Per Valter Berni questa calda memoria è anche intrisa di colori, d’emozioni e d’ulteriori sogni.

Autodidatta estremamente fecondo, dai primi anni ’60 del secolo scorso e ancor più dopo aver cessato la sua lunga attività di mobili d’arredo e di design, egli s’è immerso nella pittura, affidandosi ai ricordi di soggiorni in luoghi esotici e lontani, rielaborandoli attraverso un raffinato senso del colore acquisito con l’esperienza, così da restituire qualcosa che va ben oltre la visione oggettiva. A volte si avvale di simboli molto semplici, direi archetipici, ma non per questo meno evocativi (la luna, l’idolo, l’onda, il vulcano, il cavallo, la scimmia); proprio come accade nei sogni, restano e riaffiorano elementi chiave per esplorare l’interiorità. E questa interiorità reclama a gran voce, con tinte accese, luminose, vibranti, l’aspirazione profonda alla libertà. In questo senso “Galoppo verso l’ignoto” è quasi una dichiarazione di poetica.

Berni è infatti libero quando dipinge sfuggendo di fatto a tutte le categorie, le regole, le sovrastrutture razionali e prospettiche, accogliendo le suggestioni avanguardistiche di Schifano, fino ad infrangere il tabù del segno e della figurazione. Si spinge quindi a raccogliere tra i suoi ricordi fotogrammi emotivi, attraversando la memoria e riprendendola dall’alto di un drone surreale (Favelas, Fenicotteri rosa, Giardini d’Italia) o percorrendo le vertigini dell’immaginazione per fermare addirittura visioni cosmiche (Formazione di una supernova, gli Ufo ci guardano, Frammenti di asteroide, Galassia in formazione). Berni pare lasciarsi incantare dalla meraviglia dell’universo, affascinare dal mistero della natura così che anche la sua astrazione, materica, corposa, tridimensionale, viene pervasa da questa spinta romantica, da questo gioioso sgomento per il sublime. L’abbandono della forma si traduce quindi in un concerto cromatico, in un inno festoso alla bellezza del cosmo.

L’artista si concede anche sperimentazioni del tutto fuori dal suo solito contesto, come il “Vescovo” dipinto su una porta, con effetto di crettatura e una posa frontale, aulica, stilizzata, tale da rievocare le figurazioni simil-affresco di Campigli, a loro volta ispirate all’antichità etrusca. Tale eccezione, arricchita anche da elementi materici quali la tela di iuta, è indice di un continuo approfondimento dell’artista riguardo ai propri mezzi e alle proprie suggestioni culturali. Berni, come tanti autodidatti, ha imparato osservando, provando, inseguendo le proprie inclinazioni interiori, con libertà e passione.

Nelle sue peregrinazioni vere o immaginarie, ha trovato la spinta per andare avanti, sempre e comunque. E come spesso accade, nei sogni, non ci sono le ombre, ma tinte increspate che affiorano in superficie anche dagli abissi dell’inconscio. Sono i manti del mistero dell’esistenza, delle sue inaspettate favole (La regina e il lupo, La marchesa osserva). Inaspettate però, non casuali. Allora anche il suo definirsi, con troppa umiltà, “pittore per caso” o lo stesso “Autoritratto per caso”, ha di fatto la sua giustificazione e determinazione nella necessità dell’arte, nell’impellenza di creare, di dare un colore al proprio essere, alle proprie speranze, al proprio amore per la vita, in tutte le sue declinazioni. Inevitabilmente, l’autenticità di questo trasporto, la vocazione per nulla casuale di Berni, sono provate dalla capacità di coinvolgere lo spettatore che si va perdendo anche lui in una migrazione senza tempo e spazio, nell’incanto dell’universo, condotto magicamente dal colore dei sogni..           Manuela Bartolotti

 

 

 

Mercoledì, 01 Giugno 2022 20:04

VALTER BERNI

Favelas
Favelas

Tavolozza di colori 3
Tavolozza di colori 3

Pammukale
Pammukale

  Valore3

VALTER BERNI

Mercoledì, 01 Giugno 2022 19:22

IL COLORE DEI SOGNI

Berni

FONDAZIONE UCCIA FIENI CHAOS ART GALLERY  
sono liete di Invitare la S.V. all’inaugurazione di

 

 

 Inaugurazione
Sabato 4 giugno, ore 17.00

“Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato”. Così scriveva Edgar Allan Poe. Per Valter Berni questa calda memoria è anche intrisa di colori, d’emozioni e d’ulteriori sogni. Autodidatta estremamente fecondo, dai primi anni ’60 del secolo scorso e ancor più dopo aver cessato la sua lunga attività di mobili d’arredo e di design, egli s’è immerso nella pittura, affidandosi ai ricordi di soggiorni in luoghi esotici e lontani, rielaborandoli attraverso un raffinato senso del colore acquisito con l’esperienza, così da restituire qualcosa che va ben oltre la visione oggettiva e conduce l’osservatore lontano, in una dimensione senza tempo e spazio, nell’incanto dell’universo.

 

Aperta al pubblico da martedì a sabato con orario 10.00-12-30 e 16.00-19.00, domenica ore 16.00-19.00. Ingresso gratuito.
Per info e appuntamenti: T. +39 0521 1473924, M. +39 338 6076886, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.chaosartgallery.it.

  

FONDAZIONE UCCIA FIENI ONLUS
Sede Legale presso Casa Cura Città di Parma

Piazzale Athos Maestri 5 - 43123 Parma
tel. +39 366 300 1181

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

5xmille C.F. 92179610347
Donazioni IBAN IT40F0623012708000058176095

 

Mercoledì, 11 Maggio 2022 21:02

Istvàn Madarassy

 

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  Valore3

 

ISTVAN MADARASSY


Istvàn Madarassy è nato il 16 luglio 1948 a Budapest. Appartenente ad una famiglia di artisti, ha frequentato l’Istituto di arti applicate e figurative e la Scuola superiore di Arti applicate. A soli 20 anni è stato restauratore presso il Museo Nazionale Ungherese. Dal 1973 è membro degli “Artisti ungheresi”, dal 1987 della Società artistica DunapArt e dal 1991 della Europaische Akademie der Wissenschaften und Künste (ASAE, Salisburgo). Nel 1994 la sua opera “La porta dell’Inferno”, ha ricevuto la medaglia d’oro alla Mostra Biennale Internazionale di Dante a Ravenna. Nel 2000 il Presidente della Repubblica Ferenc Màdl ha fatto omaggio a Papa San Giovanni Paolo II, in Vaticano, delle sue statue di S. Stefano e Santa Gisella. Nel 2004 ha ricevuto la medaglia al merito del governo ungherese. La sua passione per l’arte, la musica, la letteratura italiane l’hanno portato a recarsi e a esporre diverse volte in Italia (Venezia, Milano, Firenze, Roma), a Parma (mostra alla Galleria Sant’Andrea di Parma, presentato dall’On. Giuseppe Amadei, nel 2007 e nel 2019 alla Galleria Parma per le Arti) e provincia (Rocca Sanvitale di Fontanellato nel 2008 e nel 2013 al Museo Verdi di Busseto). Il ciclo della Divina Commedia in 99 tavole di rame lavorate con la tecnica della pittoscultura, è stato esposto a più riprese a Firenze nel Museo Casa di Dante (2011, 2013, 2016) e nel 2019 all’Accademia Ungherese a Roma. Sempre nello stesso anno gli è stato conferito dal Presidente d’Ungheria il prestigioso premio Kossuth ed è stata inaugurata a Zimony in Serbia la statua dell’eroe serbo Janos Hunyadi alla presenza del Presidente ungherese János Áder e del Presidente serbo Aleksandar Vucic. Madarassy aveva in precedenza realizzato Santo Stefano, San Ladislao e la figura di tre metri dell'Arcangelo Michele nella piazza principale di Veszprém.

        

Ha impiegato circa 6 anni Istvàn Madarassy per compiere la sua “Divina Commedia”, leggendo e rielaborando nel crogiuolo della sua mente e della sua anima le parole “alate” di Dante, scolpendo col calore della fiamma e plasmando il rame, perché rimandasse i patimenti e il sofferto cammino dell’Inferno, il riverbero rosso e il desiderio di salvezza del Purgatorio, lo splendore dell’oro e la gloria esultante, corale dei cieli del Paradiso.
Osservando questo percorso creativo, tre sono le chiavi interpretative, tre gli elementi simbolici che caratterizzano tutta la sua Divina Commedia: la luce, il suono, le persone.
I canti infernali sono rappresentati con un fondo scuro, spesso opaco, sul quale risaltano varie sfumature di colore e ombre arse di aloni ossidati. La materia qui prevale sullo spirito, incatena le anime dannate ad una cupa eternità di solitudine. Regna ovunque il silenzio di una speranza soffocata, talvolta interrotto da un grido vuoto, fatto di braccia in alto protese, come nella tavola con la nave di Ulisse nel suo “folle volo”. S’avverte un’inquieta disarmonia, le figure umane, poche e disgiunte, sono spesso in equilibrio precario, le forme sono incomplete, e talvolta parlano solo mani che raccontano d’affanno e paura senza mai pace. Nel Purgatorio il fondo è rosso dell’appassionata brama di Dio e del fervido pentimento, le figure sono rappresentate più numerose e spesso in dialogo tra loro. Il grido bestiale o il silenzio di disperazione sono mutati in comunione e conversazione. Le teste sono spesso rivolte in alto e le composizioni, dove prevalgono questi azzurri cangianti, trasmettono un senso di moto ordinato. Dante e Beatrice sono in più immagini insieme e il legame d’amore è forza che fa ascendere, sospingendo in alto. Finchè, ecco il Paradiso, dal fondo oro che rimanda la luce, dove le anime sembrano danzare e cantare rivolte “in excelsis Deo”. Le tavole s’affollano di cori angelici, d’accordi armoniosi. Nello splendore, s’accendono tutti i colori. La materia del rame è trasfigurata in un tripudio iridato, sfolgorante fino al culmine della visione trinitaria fatta di rosso, blu e oro che si vanno mutando uno nell’altro per significare l’Uno e trino di Padre, Figlio e Spirito Santo. Dopo il cammino della Fede, faticoso nelle tenebre infernali, dopo il fremito della speranza trattenuto ancora dal fardello dei peccati da “purgare”, si giunge al massimo di luce, alla musica dei cori angelici, al perfetto accordo che è Carità, è Dio.
Dante doveva restituire a parole un’apparizione sublime e ineffabile, Madarassy tradurre visivamente, con la materia plasmata e scaldata, le visioni sempre più inesprimibili, spirituali del poeta. Quello che conta e che resta non sono però le immagini concrete, ma l’emozione che restituiscono, il sussurro dell’invisibile che passa da anima a anima.
E con questa emozione entra in noi la Verità. Che è poi tutta in quell’ultima frase del Paradiso dantesco: “l’Amor che move il Sole e l’altre stelle.”

Manuela Bartolotti

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